FACERES E NON

 

<< NON VOLESSE DIR NIA MA CANCHE ME RICORDE, CHE I FAXEA TANT DE BELLE MASCRE CON SI LACHEES, BUFFONGN E

 MARASCOGN E ATTORES A CHEL GE', ME PIANTC 'L CHER E ME NCEN OGNI OUTA CHE VEIDE NA MASCHERADA...>>

 

 

I Marascon di Campitello di Fassa in un'immagine degli anni 50

                                                                                                                                                           

 

Questa nota appartenente a Don Giuseppe Brunel risale al 1883. E' una nota sconsolata che fa pensare che alla fine dell'800 la tradizione del Carnevale fosse già in forte regresso.

Stiamo parlando di un'epoca a noi molto distante, quando le tradizioni agro-pastorali erano praticamente intatte. Ma a sentire il prelato della Val di Fassa non era affatto così. In effetti assistiamo già allora a fenomeni quali l'emigrazione stagionale, la conversione della cerealicoltura in campi e prati segabili utili all'allevamento bovino ed infine alla nascita del turismo alpino che grande influenza avrà sulle condizioni economico sociali delle vallate alpine.

Dunque un'epoca in evoluzione anche quella di fine ottocento.

Il tempo inesorabilmente produce un cambiamento nelle tradizioni e nei costumi; negli ultimi cinquant'anni a differenza di quello che accadeva nel passato, causa l'enorme sviluppo scientifico e tecnologico, le tradizioni del mondo contadino hanno subito un duro colpo ragione per la quale il mondo in cui viviamo è un altrove impensabile anche per lo sconsolato Brunel.

Sviluppo tecnologico e scientifico che se ha portato salute e benessere ad una parte dell'umanità ha prodotto problemi sociali e ambientali quasi irrisolvibili vista la situazione attuale.

E come Brunel pensa con nostalgia alle << Mascherade >> del passato anche noi forse per l'età matura rivolgiamo lo sguardo sempre più all'indietro perplessi e preoccupati per il nostro futuro.

 

Ma torniamo al Carnevale e al suo apparato simbolico. Ho avuto l'occasione o meglio ho voluto consapevolmente assistere al Carnevale di S.Michele all'Adige non perchè amante delle moderne manifestazioni folcloristiche che con la tradizione hanno ben poco da spartire, ma perchè nel programma era prevista la sfilata di alcuni gruppi storici tra cui senza dubbio il più interessante per i costumi e per il cerimoniale era quello di Valfloriana paese posto all'inizio della Valle di Cembra.

 

 

 

 

Come altri carnevali europei anche quello di Valfloriana si ispira ad un immaginario cerimoniale dove al centro della rappresentazione c'è <<il matrimonio>>, evocazione dell'idea di fecondità ma non solo di questa. E' appurato infatti che nelle società agricole raggiungere l'indipendenza economica e la piena integrazione sociale passava obbligatoriamente per l'istituzione matrimoniale.

 

Ma l'atto primo o della paura prevede prima l'annunciazione del tempo del rito con il suono dei campanacci portati alla cintola o sul dorso dai  << Matoci >> gregge scomposto e piuttosto spaventoso che porta scompiglio nel paese.

 

 

 

 

 

 

 

Gli scampanatori avanzano scuotendo il bacino tra il clangore dei campanacci; sono spesso demoni pastorali, uomini delle selve, capri, montoni ma altre volte gli antenati che ritornano. Il costume dei << Matoci >> simili ai    << Marascon >> della tradizione fassana era in passato una combinazione dei costumi festivi maschile e femminile. L'ambiguità sembra indicata anche dall'etimologia del nome << Marasca >> che nel Basso Latino significherebbe uomo-donna. E' ancora un giovane che nel tempo del carnevale funge da guida della cerimonia del non senso.

 

 

 

 

 

 

 

 

Con i << Lachè >> detti anche << Arlechini >> ha inizio la fase propriamente cerimoniale. I loro segno distintivo è l'alta mitra a forma di cono ornata di fiori e nastri. Qui si nota una differenza tra i costumi di Cembra e quelli di Fassa; in quest'ultimo caso l'alta mitra era indossata dai << Bufon >> che costituivano un'altra maschera guida, del cerimoniale carnevalesco fassano. Al di sopra della << capa >> era cucita una coppia di mezzecode di Gallo Forcello, stessa usanza questa dei cacciatori tirolesi. Inoltre sullo stesso copricapo era fissato uno specchietto che aveva lo scopo di accecare gli spiriti maligni.

 

 

Campitello di Fassa: Bufon, Marascon e Attores in una immagine del 1911

 

 

 

 

 

 

In passato i Lachè indossavano una maschera ed i personaggi che li interpretavano erano sempre giovani non sposati e quindi ancora dall'ambigua identità sociale. E' da notare che la maschera veniva spesso tolta e rimessa a sottolineare che il portatore della stessa era qualcosa di indefinito esattamente come la maschera indossata.

 

 

 

 

 

 

 

Tra gli  Arlechini che eseguono le danze s'intravedono gli sposi. Qui come è tipico del carnevale c'è uno scambio dei ruoli, lo stesso accade delle verità e delle regole della tradizione che durante la cerimonia vengono sovvertite.

 

 

 

 

Nella tradizione questo matrimonio per finta veniva accompagnato da un'aratura simbolica, seguita dalla semina. Se da una parte rappresentava un augurio di prosperità, dall'altra veniva sovvertito il tempo, quello dell'ordine naturale. << Per Carnevale si ara d'inverno >> suggeriscono provocatoriamente le maschere.

 

 

1: Lachè 2: Bufon 3:Marascon

 

 

Al seguito degli sposi vi è l'ultima componente del corteo. I << Paiaci>>, caricature della povertà contadina, come lo sono  <<l'Om dal Bosch >> e << La Veia col maschioz >>, la vecchia col lucchetto, parodia della <<Baba>> del paese.

 

 

 

 

Ma anche le << Mèscres a Bel >> e le << Mèscres a Burt >>, fanno ora la loro comparsa. Le prime scandivano i temi della virilità e della femminilità in termini esteticamente positivi; ben vestite, aggraziate ed eleganti, le seconde invece personificavano quanto di più negativo si potesse trovare nel sistema di valori della società agro-pastorale; grottesche nell'aspetto, dalla camminata pesante, rozze chiassose e invadenti.

 

 

 

 

Molto interessante è a riguardo l'evoluzione subita da queste maschere. Quelle classiche databili fino agli anni della Grande Guerra rispecchiavano forme molto lontane dalla realtà figurata. Veniva cioè proposto un ideale di bellezza (o di bruttezza) praticamente inverosimile lontano dall'esistente; volti inanimati dunque dall'espressione assente. Negli anni successivi si è assistito alla scomparsa delle << Maschere da Bel >> e alla trasformazione in senso realistico anche se grottesco delle << Maschere da Burt >>. E' andata dunque persa una parte simbolica del carnevale mentre si è mantenuta solo quella propriamente canzonatoria.

 

maschera di Bufon                                          maschera da Burt                                                maschera da Bel

 

 

INFORMAZIONI DAL CATALOGO: FACERES-MASCHERE LIGNEE DEL CARNEVALE DI FASSA

A CURA DI FABIO CHIOCCHETTI 1988

 

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