MARC AUGE' e il T4

 

 

 

 

Gli aeroporti, le catene alberghiere, le autostrade, i supermercati sono nonluoghi, nella misura in cui la loro principale vocazione non è territoriale, non mira a creare identità singole, rapporti simbolici e patrimoni comuni, ma tende piuttosto a facilitare la circolazione e quindi il consumo in un mondo di dimensioni planetarie.

Questi nonluoghi sono tutti molto simili tra loro anche se grazie all'iniziativa di qualche architetto si distinguono per originalità e uno dei modo migliori di resistere al senso di spaesamento in un paese lontano è sicuramente quello di rifugiarsi nel primo supermercato in cui ci si imbatte.

 

 

 

 

Essi fanno parte di quel mondo colorato, cangiante, confortevole e ridondante la cui immagine viene riproposta dalle agenzie turistiche, dalla televisione e dalla pubblicità. Caratteristica comune è di essere spazi del troppo-pieno dove sono presenti tutti i servizi, dal ristorante alle banche, dalle agenzie di viaggio al supermercato.

 

 

 

 

Gigantesco gioco di specchi che, da un capo all'altro delle zone più attive del mondo, offre a ogni consumatore un riflesso della sua frenesia. Negli spazi dell'eccesso, c'è anche un eccesso di esseri umani. Le strade e le piste di decollo rigurgitano di gente, le file di attesa si allungano, le sale d'aspetto non si svuotano. Il mondo della velocità e dell'istantaneità fa talvolta fatica a gestire il suo successo salvo quando un fatto di cronaca di portata mondiale getta nello spavento e nella paralisi una parte dei consumatori.

 

 

 

 

Gli spazi del passaggio, del transito sono quelli in cui si mostrano con maggior insistenza i segni del presente: cartelloni pubblicitari, nomi delle ditte più conosciute scritti a lettere di fuoco nella notte delle autostrade che portano all'aeroporto, appariscenti palazzi dello spettacolo, dello sport e del consumo si agglutinano alla città e ne fanno cedere le difese penetrando attraverso i varchi ferroviari e autostradali.

 

 

 

 

Il generico sovverte la città storica, uno spazio del troppo pieno che straripa sulla città, la modella e la conforma alla sua vocazione globale.

 

 

 

 

Gli spazi del troppo-pieno sono strettamente mescolati a quelli del vuoto. Sono talvolta gli stessi, ma in ore diverse: l'aeroporto di notte o al mattino, poco dopo l'apertura, i parcheggi sotterranei, le autostrade. Il nonluogo viene percepito secondo i momenti, come un eccesso di passeggeri o come un vuoto di abitanti.

 

 

 

 

Spesso il vuoto ed il pieno si fiancheggiano; terreni incolti, aree apparentemente prive di una destinazione precisa circondano la città, nella quale s'infiltrano scavando delle zone d'incertezza che lasciano senza risposta la domanda di dove la città cominci e dove finisca.

 

 

 

 

Un vuoto si inserisce fra le vie di circolazione e i luoghi di vita, o fra ricchezza e povertà, un vuoto che spesso viene lasciato in abbandono e nel quale si rintanano i più poveri dei poveri. Nei cantieri urbani l'evidenza del troppo pieno è sfumata, foderata dal mistero del vuoto. Il fascino dei cantieri, dei terreni incolti in attesa, ha sedotto cineasti, romanzieri e poeti. Oggi quel fascino dipende dal suo anacronismo, contro l'evidenza esso mette in scena l'incertezza.

 

 

 

 

Contro il presente, sottolinea la presenza ancora palpabile di un passato perduto e al tempo stesso l'imminenza incerta di quanto può accadere: la possibilità di un istante raro, fragile effimero che si sottrae all'arroganza del presente.

 

 

 

 

I cantieri, eventualmente a costo di un'illusione, sono spazi poetici, vi si può fare qualcosa; la loro incompiutezza contiene una promessa. Una promessa di cui non so nulla, .....qui accanto a questo muro di fronte alla steppa dove attendo un autobus che non passerà mai.....

 

 

 

 

E' così che, in modo del tutto naturale, gli spazi del vuoto si descrivono in termini temporali. Come le rovine, i cantieri hanno molteplici passati, passati indefiniti che vanno aldilà dei ricordi della vigilia, ma che a differenza delle rovine raggiunte dal turismo, sfuggono al presente del restauro e della spettacolarizzazione: probabilmente non vi sfuggeranno a lungo, ma per lo meno sollecitano l'immaginazione fintantochè esistono, fintantochè possono suscitare un senso di attesa.

 

 

 

 

L'architettura contemporanea non mira all'eternità ma al presente, non anela all'eternità di un sogno di pietra, ma a un presente sostituibile all'infinito. E' solitamente previsto che ad un certo momento un altro immobile prenderà il posto del precedente; la città attuale è così l'eterno presente, edifici sostituibili gli uni con gli altri accompagnati da eventi architettonici, singolarità concepiti per attirare visitatori da tutto il mondo.

 

 

 

 

Ora, almeno per qualche tempo, i terreni incolti e i cantieri oltrepassano il presente da due lati. Sono spazi in attesa che, talvolta un po' vagamente, risvegliano anche ricordi. Ridestano la tentazione del passato e del futuro, fungono per noi da rovine. Oggi tali rovine non sono più concepibili, non hanno un futuro, proprio perchè gli edifici non sono più costruiti per invecchiare, in conformità con la logica dell'evidenza e del mercato, dell'eterno presente e del troppo-pieno.

 

 

 

 

Il dramma è che oggi noi applichiamo alla natura lo stesso trattamento che infliggiamo alle città, ne preserviamo certi settori per lo spettacolo e per il turismo; pretendiamo di sostituire una natura ad un'altra ma i fatti dimostrano che la natura è testarda: maltrattata reagisce.

I ghiacciai si ritirano, mari e laghi si prosciugano, i deserti avanzano, le specie scompaiono. Le distruzioni operate dalle catastrofi naturali, tecnologiche o politico criminali appartengono all'attualità.

La rovina, un paesaggio commistione di natura e cultura che si perde nel passato emerge nel presente con l'unico significato di sentimento del tempo che passa e che dura contemporaneamente.

 

MARC AUGE' ROVINE E MACERIE- IL SENSO DEL TEMPO    BOLLATI BORINGHIERI

 

Febbraio 2010

 

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